E’ successo qualcosa che è giusto segna-lare e che va nella direzione del bene comune più che dell’annullamento del avversario. Così Padova può tornare a essere un modello nazionale».
A una settimana dalla tormentata approvazione dell’ampliamento dell’hub Alì – con 15 voti favorevoli, 12 contrari e le coalizioni politiche spaccate – è l momento di provare a tirare le somme di una vicenda che, al di là del singolo provvedimento, è diventata paradigmatica pe la politica cittadina. Una lettura arriva da Silvio Scanagatta, intellettuale, autore di diversi volumi e già docente di Sociologia al Bo: «Abbiamo visto persone di schieramenti diversi adoperarsi per una solu- zione di buon senso: è un segnale da non sottovalutare».
Professore, perché una vicenda come questa dell’hub Alì diventa un caso politico?
«Tutto parte dalla Costituzione, che è stata frutto di un confronto tra due idee molto diverse della società italiana e ha portato a un equilibrio che per 70 anni ha assicurato pace e sviluppo. Analogamente a Padova è successo qualcosa di abbastanza utile da rilevare. Le scelte della politica cominciano a essere focalizzare più sul bene della collettività che sul nemico da distruggere. Si è creata una situazione di consenso at- torno alla scelta sull’Alì: è un segnale da non sottovalutare».
Un consenso attorno a una scelta chiara: chi consuma suolo deve restituire qualcosa alla collettività.
«È esattamente il vecchio sogno di alcuni di noi: per costruire un metro cubo bisogna distruggerne o liberarne un altro. Non si può partire dal principio di non fare le cose. Quindi va sempre trovata una soluzione».
In che modo?
«Bisogna ragionare attorno al principio che se si consuma del suolo, anche se è utile per l’economia, bisogna compensare con qualcos’altro. Questo metodo, anche se ha creato qualche mal di pancia, se venisse preso ad esempio in tutta Italia probabilmente porterebbe al ritorno di una serietà della politica».
Davvero è un esempio?
«Si, Padova si ripropone positivamente nella politica italiana. Anche se a livello comunale dobbiamo ricominciare a parlare di politica vera, cioè di gestione della polis. Sfido chiunque a pensare che, anche grazie a questa rete di tram in costruzione, Padova non debba essere considerata una città da mezzo milione di abitanti».
Vanno superati un po’ di campanilismi?
«Certamente, ma penso che i sindaci siano delle vittime: ogni volta che c’è un problema restano da soli ad affrontarlo, perché i livelli superiori non sono in grado di dare risposte coerenti. I sindaci dovrebbero imparare a fare gruppo e capire qual è il vero bene comune».
Negli ultimi giorni ci sono state polemiche anche attor- no alle nomine della politiche: bisogna tornare al vecchio manuale Cencelli?
«Nel caso dell’Interporto abbiamo un grande tecnico, uno specialista e un personaggio su cui nessuno può discutere. Però sono arrivati i mal di pancia per il metodo. È vero che un tempo c’era il Cencelli, ma veniva usato dopo avere preso le scelte strategiche, non prima. Perché altrimenti non si fa il bene della città. Mi lasci dire però che l’elezione di Santocono a Unioncamere Veneto è una conferma di quel che sto dicendo: l’idea che Padova possa rappresentare un modo nuovo di intendere la politica».
Eppure in questa campagna elettorale per le europee le contrapposizioni e i nemici non mancano.
«Purtroppo non sento parlare molto di Europa, che dovrebbe essere il nostro vero riferimento, visto che il 70% delle norme arriva da lì. Avremmo bisogno di sentir parlare di Venezia-Monaco, di infrastrutture, di sviluppo. E pensarci a livello Veneto, come una grande città diffusa di 5 milioni di abitanti che compete con le aree metropolitane di tutto il mondo».
Fonte: Il Mattino di Padova del 02/06/2024 – di Claudio Malfitano